Andrea Capanna

Urban Human

a cura di Gianluca Marziani

 

 

La Galleria 28 Piazza di Pietra presenta, dal 27 ottobre al 31 dicembre 2016, Urban Human, una personale dell’artista Andrea Capanna, a cura di Gianluca Marziani.

In esposizione circa venti opere inedite, realizzate tramite la stratificazione su base lignea di cemento, calce, sabbia e intonaco, materie che sono state depositate e dipinte per strati, lavorate poi con carta vetrata, spatole e spazzole di acciaio.

Spiega l’Artista: “Il mio lavoro sui ‘muri’ è un percorso di ricerca delle infinite opportunità tecniche, concettuali ed estetiche che offre questa superficie. Su di essa si deposita la memoria di una storia, si stratifica il vissuto di un corpo che mostra e rivela.”

KC1-ZL25 Gazometro   cm 125x180
KC1-ZL25 Gazometro2   cm 132x92
KC1-ZL25 Lowprofiledonna   cm 90x125
KC1-ZL25 PIETRO   cm 80x140
KC1-ZL25 Tangest5   cm 132x92
KC1-ZL25 TempioMinervamedica   cm 125x110
KC1-ZL25 Thewhisperer   cm 125x90
KC1-ZL25 TorrestazioneTermini   cm 128x93
KC1-ZL25 Vanessaprofilofronte   cm 128x93
KC1-ZL25Autoritrattogrande cm 125x90
KC1-ZL25Tangest2 cm125x90

Nei quadri della serie Urban, l’Artista propone Roma come protagonista centrale dello sguardo, rappresentandola secondo scorci suggestivi e inediti, sul filo di una “cementificazione” al contrario che ritrova la complessità del Novecento italiano e reinventa la bellezza cruda dell’essenza archeologica.

Nel testo Memento Cemento, firmato in catalogo dal Curatore Gianluca Marziani, leggiamo: “Andrea Capanna vive e lavora a Roma. E non poteva essere altrimenti, basterà un solo quadro per comprendere le origini di un’attitudine mineralizzata, biologicamente e archeologicamente romana. Un’appartenenza, però, senza retorica, in cui Roma non è più solo un soggetto tematico, in cui lo sguardo ragiona dentro la metafisica della rovina con il suo metabolismo incessante. Un viaggio pittorico che ‘usa’ Roma per scrivere la propria storia (l’artista con le sue visioni private) attraverso le propaggini della grande Storia (la Capitale con tutto il suo portato imperiale).”

Nella sezione Human Capanna riprende il “motivo” del ritratto di profilo, un genere
oggi poco utilizzato ma largamente diffuso in epoca rinascimentale, nell’antica tradizione dei cammei e nelle monete.

Ancora Marziani: “Quei volti sono spesso di profilo… e ribadiscono un’aura e una distanza necessaria, mantenendo così la memoria nel suo habitat flemmatico e pigramente solenne. Materiali semplici e tecniche muscolari danno forma a un ritratto sospeso, al confine tra durezza materica e fluidità cerebrale, in perfetta sintonia con i paesaggi pittorici dell’artista. Il volto come parte umana del paesaggio urbano…”

L’inaugurazione di Urban Human rientra tra gli eventi selezionati nell’ambito della prima edizione della Rome Art Week: un’intera settimana, dal 24 al 29 ottobre, dedicata alla promozione dell’arte contemporanea nella Capitale.


MEMENTO CEMENTO
Gianluca Marziani

 

Muri romani… sgretolati, consunti, sovrapposti, incisi, segnati, taggati, crivellati, colorati, disegnati, grattati, consumati, ammuffiti, anneriti… muri vivi che pulsano come polmoni solidi e spugnosi, catalizzatori di passaggi umani nel corso dei secoli, diari di bordo che memorizzano tracce ibride di storia maiuscola e minuscola…

Roma trasuda memoria dai suoi sterminati muri, dalle pareti di palazzi, facciate e rovine, dagli intonaci in esterni e dai livelli sotterranei, da pietre e mattoni, dal giallo imperiale e dal rosso pompeiano, da vicoli oscuri e arterie di luce… la città comprime sui muri la lunghissima catena di eventi sovrapposti oppure giustapposti, il flusso progressista del tempo e la ragione conservativa dello spazio, la bellezza con le sue felici contraddizioni, l’assurdo e la sua vertigine opposta…

Muri parlanti, sognanti, detonanti, stimolanti, attraenti, ribaltanti…

Andrea Capanna vive e lavora a Roma. E non poteva essere altrimenti, vi basterà un solo quadro per comprendere le origini di un’attitudine mineralizzata, biologicamente e archeologicamente romana. Un’appartenenza, però, senza retorica, in cui Roma non è più solo un soggetto tematico, in cui lo sguardo ragiona dentro la metafisica della rovina con il suo metabolismo incessante. Un viaggio pittorico che “usa” Roma per scrivere la propria storia (l’artista con le sue visioni private) attraverso le propaggini della grande Storia (la Capitale con tutto il suo portato imperiale). Capanna elabora un presente a propria somiglianza interiore, idealmente plasmato sulle planimetrie dei fori, sui perimetri della pietra, lungo le superfici del culto iconografico. Il suo è un presente anomalo che indietreggia verso un’ideale origine del muro, verso l’incipit che accarezza il lampo iniziale, l’origine del genio urbano, il codice sorgente che lega le immagini sul filo orizzontale di una memoria lunghissima.

Quei muri influenzano lo sguardo, creando radici silenziose e riferimenti impliciti, evocando appartenenze e vicinanze, connessioni e distorsioni. Sono muri che inglobano scorci e panoramiche, che si amalgamano a chiese e palazzi, che circondano le visuali e definiscono l’imprinting antropologico dell’occhio. La storia pittorica di Capanna ne è l’esempio virtuoso, il caso perfetto, la scelta aderente: una pittura che mostra le sue arterie arcaiche, il suo sangue pietrificato, la sua energia metabolica. Il quadro inspira ed espira, avanti e indietro tra memoria e veggenza, citazione e interpretazione. L’opera come fosse un organismo vivo, radicato al grigio del cemento, un ibrido tra solido e gassoso, evidenza e rivelazioni. Cambiare destinazione d’uso al cemento è il mantra che aleggia su un materiale dagli utilizzi duttili: in pratica, si sposta la funzione verso la pura sottrazione, dove levare significa aumentare il senso, definire il senso, inventare un senso. La tecnica diventa rivelazione, un mantra aerobico che disvela angolazioni sismiche, anfratti tellurici, dettagli epidemici. La pittura di Capanna conferma il valore imprescindibile delle radici, la loro necessità biochimica, la valenza simbolica e filosofica che una memoria si porta appresso; al contempo, il quadro dialoga liberamente con le proprie radici, ed è un confronto ad armi pari, catartico e istintivo, fluido ma anche ostinato e vibrante, una dialettica con armi lecite o inconsuete, tra scatti intuitivi, conferme e ripensamenti consapevoli. La memoria non ingombra il campo, al contrario lo sgombera da tutto il superfluo, il decorativo e l’eccessivo. La Roma di Capanna ricrea la potenza astratta di una città che si spoglia e resta integra, purissima e meticcia come un minerale fossile dal valore assoluto.

Pitture parlanti, sognanti, detonanti, stimolanti, attraenti, ribaltanti…

Sottrarre anziché aggiungere, scarnificando l’intonaco con un processo invertito, fatto di eliminazioni e puliture, dove il volume riprende forma di scheletro essenziale, dove l’azione si trasforma in figurazione, dove l’immaginazione sceglie la sua immagine elettiva. L’artista ha capito di doversi liberare dalla zavorra romana, da quel carico di retorica che ti affligge quando guardi a lungo l’estetica da cartolina. Essere a Roma senza essere Roma: differenza sostanziale che divide gli sguardi universali da quelli provinciali, creando sacche di risonanza qualitativa, zone di luce purissima, apparizioni indimenticabili. Sottrarre è, prima di tutto, un approccio mentale, un modo di osservare e metabolizzare il reale, una digestione evoluta che separa le scorie dall’essenza, il virtuosismo mondano dal tessuto genetico. Le opere di Capanna hanno un’apparenza pietrosa e scarnificata, in realtà sono l’essenza di una presenza, sorta di anomalo diario del navigante archeologico, pagine fossili da sfogliare tra atmosfere indelebili.

La città, le architetture, i luoghi da una parte…
Le persone, i volti, i busti da un’altra parte…

Brandelli di città storica si mescolano alle architetture funzionali, al modernismo metafisico, ai progetti industriali, alle infrastrutture del Dopoguerra… Roma diventa un corpo graffiato, tatuato, insanguinato, segnato dalla fatica del tempo lungo, dalle attese implacabili, dal ritmo spasmodico che governa la città “più al nord nei sud del mondo”… Roma come pelle bruciata dal sole, scarificata da una vecchiaia antagonista e prolifica, da un suo humus magnetico, da una resistenza oltraggiosa e avida… Capanna mastica la città, mescolando ingredienti e sapori, così da digerire il necessario indispensabile, sottraendo abiti ma non organi vitali, accessori ma non ossa e muscoli…

Facce, busti, sguardi, imponenza del profilo… i corpi di Capanna sembrano planimetrie aeree, città viste dal cielo, simili a geografie archeologiche in cui la vita somiglia a organismi cellulari sotto la lente di un microscopio. Quei volti sono spesso di profilo, come avveniva nei cammei e nelle monete antiche, e ribadiscono un’aura e una distanza necessaria, mantenendo così la memoria nel suo habitat flemmatico e pigramente solenne. Materiali semplici e tecniche muscolari danno forma a un ritratto sospeso, al confine tra durezza materica e fluidità cerebrale, in perfetta sintonia con i paesaggi pittorici dell’artista. Il volto come parte umana del paesaggio urbano…

Roma ricompare mentre scompare… il respiro del quadro parla proprio di movimento avanti e indietro, memoria e futuro lungo la linea rossa del tempo sospeso, una densità liquida ma compatta, una contraddizione risolta attraverso la sottrazione. Andrea Capanna ci regala una Roma conosciuta eppure diversa dal solito, allineata al piano del reale senza però specchiare il vero. La sua città è una sfida interiore, un moloch da cui non ti liberi, una magnifica ossessione che chiede pazienza e complicità, lungo un rapporto di amore e odio, tra amplessi e cazzotti, carezze ed eccessi, normalità ed estasi del sublime…

 


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