Olmo Amato

Bambini nel tempo

12 Maggio - 15 Luglio 2018 

Il bambino che legge Reading Boy

 

28 Piazza di Pietra presenta dal 12 maggio al 15 luglio Bambini nel tempo, una personale di Olmo Amato.

A distanza di tre anni il giovane artista romano torna ad esporre in Piazza di Pietra con un nuovo progetto fotografico frutto del lavoro e della ricerca degli ultimi anni.

La mostra presenta una selezione di cinque immagini in bianco e nero di grande formato e, al piano inferiore della galleria, un’installazione sonora e visiva che consente al visitatore un’immersione totale nelle atmosfere e nei luoghi evocati dall’artista nei suoi lavori.
La continuità rispetto all’esposizione Rinascite (maggio 2015) è evidente e si manifesta attraverso la comune tecnica di realizzazione ovvero l’inserimento, mediante fotomontaggio, di personaggi estrapolati da foto d’epoca in paesaggi fotografati nel corso dei viaggi di Olmo in Italia e all’estero. Con Bambini nel tempo l’autore prosegue nella stessa direzione ma con una diversa chiave di lettura: “Ho sentito l’esigenza di continuare a esplorare quel territorio, quella sospensione del tempo, ma in una chiave differente: mi sono concentrato principalmente su paesaggi italiani a me più familiari e ho deciso di utilizzare solo immagini di bambini.”
Spiega l’artista: “l’idea che mi interessava in questo caso è che queste figure, arrivate da un altro tempo in luoghi completamente inaspettati, non si trovassero spaesate ma avessero una più intima connessione con i posti che le accoglievano, volevo che fossero i luoghi stessi ad appartenere al loro mondo interiore.”

Bambini come presenze che animano luoghi tanto assoluti quanto reali, una natura maestosa e incontaminata che custodisce antiche memorie, ricordi e fantasie che riaffiorando proiettano chi le osserva in un tempo altro, una dimensione in bilico tra il magico e l’onirico. Scrive Francesca Capriccioli, nel testo critico che arricchisce il catalogo: “Sono immagini di un tempo andato che, come accade nelle fiabe, hanno la consistenza dei sogni, dove reale e irreale convivono stabilendo una dialettica intrigante e solo lievemente dissonante, quel tanto da inchiodare e catturare radicalmente l’attenzione dell’osservatore.”

 

Children's Fare!
Libero accesso al fantastico

 

Una giovane donna si ferma sulla soglia, attratta dalla vista di un bambino di circa otto anni, intento a giocare da solo al centro della stanza. Qualcosa, non sa bene cosa, la trattiene lì, forse le piace l'espressione di lui, determinata, seria, ma tutt'altro che corrucciata, come di chi è totalmente assorto e concentrato nel suo fare, tanto da sembrare che niente al mondo possa distoglierlo dal suo obiettivo imminente. Accorgendosi di lei, le rivolge per un istante uno sguardo sereno, accennando un sorriso, poi torna al suo operare. Lei ne coglie già la grande determinazione e una risoluta autonomia. Quella sorte bella di saper bastare a se stessi per la vita.

 

Tutto sembra iniziare con una perdurante immersione fisica in una natura avvolgente e con un predisporsi ad acuire le proprie facoltà percettive. Anzi, ancora prima, tutto ha origine dal desiderio di raggiungere luoghi estremi, dove i paesaggi conservano potenza e purezza originarie, dove sopravvive una natura ancora incontaminata, assoluta nel suo maestoso esserci a prescindere, e nella sua incomparabile grandezza.

Olmo Amato va ricercando così l'eco di quella Natura Mater, quando essa, unica arbitra di una cronologia iperbolica, scandiva la successione delle ere, mentre andava facendosi e disfacendosi su se stessa come un gigante inquieto, rumoroso e insonne, entità arcaica sovrana e senza alcun testimone umano al suo cospetto.

Di quei paesaggi naturali Olmo Amato indaga la bellezza e la perfezione che essi racchiudono, ed è un ricercare puro, senza artificio. E nel restituire attraverso le sue immagini fotografiche quella bellezza e quella perfezione, egli opera per sottrazione progressiva. E’ con accurato rigore che Olmo estrae dalla totalità del visibile una immagine, quella necessaria, liberata dall'eccedente e dal superfluo, e vi dispone i giusti pesi per ottenere una composizione perfettamente equilibrata, né scarna né ridondante. Egli sembra perseguire di fatto una propria e originale idea visiva che, pur traendo origine dal dato paesaggistico reale e storico dove tutto già esiste, inglobato, fuso e confuso nella coralità degli elementi, si dà come piena reinvenzione di esso fino ad approdare ad una visione altra, differita in una dimensione di limbo sovratemporale, come lo stesso artista sembra suggerire nel racconto della propria esperienza vissuta tra i paesaggi dell'estremo nord Europa. "(...) il sole di mezzanotte, i crepuscoli infiniti, l'assenza della notte, erano capaci di farmi perdere la cognizione del tempo. Man mano che procedevo verso nord le tracce dell'uomo scomparivano, il tempo si faceva sospeso, gli ambienti rarefatti, l'alba e il tramonto si fondevano l'una con l'altro".

Se fin qui Olmo Amato dispiega la propria grammatica visiva, fatta di immagini dense di una Natura appena rivisitata per esaltarne lo stato puro e superbamente autoreferenziale, sarà il processo di rilettura profonda, a cui egli sottoporrà queste immagini, ad operare uno spostamento di senso, innestandovi una narrazione inedita. “(...) ho sempre avuto l'idea che i paesaggi che fotografavo mi nascondessero qualcosa”, così l'artista, alludendo ad una velata incompletezza espressiva che le proprie immagini di soli paesaggi gli trasmettono, prende pazientemente ad interrogarle per sottrarle alla reticenza e al riserbo, prende a scrutarle in profondità per cercarne accadimenti remoti o scoprirne segreti forse tenuti a lungo custoditi sotto la trama dei toni. E come opererebbe uno scienziato al microscopio, Olmo Amato mappa l'intera immagine per individuare qua e là accenni di incrinature, lievi alterazioni che affiorino dal tessuto dei chiaroscuri, dalle maglie dei grigi, dalle faglie dei neri. Invisibili del tutto o quasi. O, magari, per scorgere qualcosa di appena smosso, come accade sulla superficie di uno specchio d'acqua un istante dopo che un sasso vi sia stato gettato, lasciando dietro di sé una increspatura, guizzo finale del suo tuffo. È a questo punto che l'osservazione analitica dell'artista ricercatore tende blandamente a rarefarsi, l'attenzione per il dato naturalistico si allenta ed egli sembra allora distrarsi e lasciarsi lentamente scivolare nel gioco, quello di tessere fantasie, inseguendo il gusto e il piacere dell'invenzione verosimile, e di tracciare sottilissime suture tra concretezza e irrealtà attraverso le quali Olmo Amato veste di forme compiute le proprie fantasticherie, sublimi proiezioni di una infantile pratica solitaria.

Astrarsi dalla visione del reale per intraprendere percorsi nel fantastico è compiere in qualche modo un processo di ridefinizione e di sintesi, e il passaggio dalla totalità del mondo a colori a un mondo essenziale di forme, luci, ombre (e nebbie) è la cifra stilistica che Olmo adotta per indicare questo slittamento. Soprattutto, colpisce di questo lavoro la felice identità tra intenzione e invenzione, tra poetica e creature, frutto della singolare corrispondenza che si instaura tra il modus operandi dell’artista, il quale attinge alla propria attitudine per il sogno e per l’immaginazione, e il mondo infantile che sceglie di ricreare.
Non è casuale che l'artista abbia intitolato "Bambini nel tempo" questa serie di opere fotografiche. Il riferimento diretto è certamente l'omonimo libro di Ian McEwan (“The Child in Time”, il titolo originale), ma si può facilmente estendere al tema dell'infanzia tout court, uno peraltro dei motivi più assiduamente cari allo scrittore britannico, come è evidente anche in "The Daydreamer". Inseguire le fantasticherie di Peter, il giovanissimo protagonista, acuto osservatore del suo piccolo mondo domestico, equivale a uno scorrere quasi impercettibile dal reale all'immaginario reso attraverso una scrittura lieve e senza apparente soluzione di continuità. Se ne potrebbe dedurre quasi che solo chi possiede un acuto spirito di osservazione può dimostrare grande capacità di immaginazione. E, come Ian McEwan ha probabilmente risvegliato attraverso Peter un sé bambino, così Olmo Amato ha ideato un teatro di apparenze infantili, solitarie e non, creature di pura innocenza che quei luoghi hanno evocato per lui come in un sussurro confidenziale o hanno sorprendentemente sprigionato da sé, presenze vivide e insieme magiche, che si dispongono a dare forma ad una narrazione sospesa e quindi permanente.

Sono immagini di bambini di un tempo andato che, come accade nelle fiabe, hanno la consistenza dei sogni, dove reale e irreale convivono stabilendo una dialettica intrigante e solo lievemente dissonante, quel tanto da inchiodare e catturare radicalmente l'attenzione dell'osservatore.

I bambini, dunque, come incarnazioni di un altrove. A sottolineare una dislocazione che è insieme temporale (si tratta di immagini di primo novecento tratte dall'archivio fotografico digitale della Library of Congress di Washington), topografica (i personaggi abitano luoghi a loro sconosciuti) e culturale (come non associare il bambino seduto sul ramo al giovane e ribelle Cosimo de “Il barone rampante”, e al suo modello di pratica solitaria eccellente e alternativa, fondante un credo differente da quello comunemente accettato?).

L’ignoto e l’enigma, elementi comuni alla narrazione fiabesca, divengono la sostanza del loro esserci. I bambini infatti sembrano appena approdati, forse catapultati o forse affiorati, all’interno di scenari a loro estranei. Scenari talvolta minacciosi (i rami tentacolari degli alberi), talvolta misteriosi (una coltre di nebbia bianca circonda la bambina senza tuttavia avvolgerne il corpo che, come un delicato ed esile meccanismo centrale, regola e bilancia i possenti alberi laterali), talvolta cupi (un massiccio di roccia nera, aspra e severa, punteggiata da arbusti all'altezza delle nuvole, sembra accogliere laggiù nelle sue viscere più intime una minuscola bambina vestita di bianco, che tra le manine tiene una ancor più minuscola sfera luminosa, splendida intuizione per un vertiginoso punto di fuga), talvolta materni (il profilo disteso, il pendio dolce e ondulato di una collina, ansa su ansa, orizzonte circoscritto nell'orizzonte dello spazio sterminato, tutto è sufficiente, in fondo, per accennare un timido girotondo).

Tuttavia i bambini, come racchiusi dentro una bolla trasparente e salvifica, appaiono immuni da trasalimenti e da turbamenti, stanno come presenze, elette e superiori, giustificate dai loro dialoghi interni e quasi silenziosi.

Analoga e parallela per intensità espressiva è l'installazione visivo sonora che Olmo Amato, qui per la prima volta, affianca alle opere fotografiche. In questo lavoro site-specific di forte impatto sensoriale l'artista sembra in parte voler ricreare il proprio percorso percettivo, che è all'origine del suo lavoro fotografico, per farne una esperienza estetica totale, immersiva e praticabile. In un ambiente semibuio una grande stampa fotografica che riproduce la tenebrosa bellezza di un bosco è il riferimento visivo che accompagna una sequenza sonora avvolgente, contemplativa. Attraverso la dimensione ambientale acustica, Olmo introduce nel proprio lavoro il valore della durata, non solo in termini di accadimenti sonori che si susseguono nell'arco di otto minuti, ma anche nell'esigere dallo spettatore una modalità di fruizione partecipativa e in qualche modo cinematografica, rivendicando, oltre al tempo interno dell'opera, anche un tempo soggettivo, necessario al corpo e alla mente per disporsi all'ascolto della narrazione sonora.                                                                         Lasciarsi attraversare da suoni, localizzati e spazializzati nella penombra di un ambiente, produce inevitabilmente un immaginario proprio e conduce ad una elaborazione personale a partire dalle suggestioni offerte. Nel praticare attivamente l’opera il fruitore vi ritrova, trasmesso qui attraverso il linguaggio sonoro, lo stesso impercettibile slittamento dal concreto al fantastico. Echi di una natura benevolmente cristallina inducono a un ascolto immediatamente leggibile, consono a esperienze molto comuni, fintantoché nello spazio sonoro qualcosa, di cui resta ignota l'origine, va complicandosi, e la percezione, apprestandosi a decifrare l'indecifrabile, si apre alla indeterminata bellezza dello stupore.

Children's Fare! Benvenuti nel regno del meraviglioso.

 

Francesca Capriccioli
Roma, aprile 2018


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